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Alla ricerca dell’identità di Francesca Michielin: FEAT

Scritto da il 21 Marzo 2020

Ed ecco il turno di Francesca Michielin- uno dei molteplici volti sfornati dai talent in Italia- con il suo ultimo disco FEAT (STATO DI NATURA).

C’è da dire (e questo è fondamentale per la recensione stessa) che la cantante abbia vissuto il dramma simboleggiato dalla parabola discendente, che ha reso la musica pop italiana, molto povera dal punto di vista dei guadagni dovuti alle vendite dei dischi. Un fenomeno da imputare all’avvento di piattaforme digitali, che hanno fatto salire alla ribalta cantanti indipendenti e generi nuovi.

Nonostante la giovane età, che le avrebbe permesso di adattarsi a queste concezioni, la cantante non ha dato segni di voler “attualizzare” la propria musica fino a oggi. Già! Perché il suo nuovo album è frutto di questo processo.Il prodotto va però guardato sotto due punti di vista diversi.

 

Partiamo dalla prima ottica: il contenuto totale appare come un insieme di brani dove, come suggerisce il titolo, per ognuno c’è una collaborazione con volti più noti della scena musicale italiana di oggi. Compaiono difatti Måneskin, Fabri Fibra, Gemitaiz, Shiva, Dardust, Coma_Cose, Takagi&Ketra, Max Gazzè, Carl Brave, Charlie Charles, Giorgio Poi…beh!

Il risultato è quello di una Francesca Michielin ben adatta ad ogni tipo di canzone, che sfuma dalle venature più rap a quelle rock, a ritmi latini. A tal proposito vanno elencati tutti quanti i featuring, analizzando come la capacità della cantante sia smisurata, perché è camaleontica nel switchare da uno stile all’altro.

Dalla collaborazione con i Måneskin, ad esempio,  ne esce una canzone di denuncia sociale, a favore della visione della donna in parità a quella dell’uomo. Brano assolutamente valido nel quale la Michielin si va a rifare al progressive rock su una base molto cruda, assieme a parole anch’esse crude. Il messaggio è che non va snaturato il concetto di donna. Essa non è come qualcosa di materiale. Ma, a malincuore, questo è l’unico brano con un vero e proprio testo ricco di significato.

Per il resto del disco emergono più volti della Michielin: sembra Frah Quintale nel featuring della sua seconda canzone con Fabri Fibra– dal titolo Monolocale. Si passa da Sposerò un albero con Gemitaiz, (dove si può intravedere la natura pop e personale di Francesca Michielin per l’unica volta, così che è Gemitaiz a dover rifarsi a un altro sound) a emulazioni raggaeton.

Sebbene questo andamento sia mantenuto alla perfezione per tutto il disco, evidenziando la grande abilità della musicista, è il momento del secondo punto di vista con il quale si deve guardare quest’album.

Riprendendo l’inizio di questa recensione, la giovane star si è accorta che la musica del 2020 è un continuo corso di aggiornamento a ciò è in tendenza. Probabilmente questo suo disco non è stato realizzato per la pura passione musicale- e lo si potrebbe evincere dalla mancanza di uno stile personale tra i numerosi presentati.

E qui la vera domanda è se il tutto sia stato concepito con l’intenzione di presentare una nuova Francesca Michielin oppure semplicemente per riscuotere successo, attirando fan medi così da poter successivamente tornare a condividere musica con un riscontro economico maggiore e frutto di questa strategia.

Ovviamente l’analisi finale che unisce le due ottiche è quella di un’ artista valida (viste le abilità), perché è difficile mutare se stessa in diverse tracce di un unico disco. Ma ciò che non riusciamo a notare è la vera personalità della cantante; non riusciamo a capire la vera passione dentro questo album; non capiamo il motivo stesso alla base della sua realizzazione.

Economicamente sarà un successo, anche perché il ritmo è travolgente e molto simpatico, ma molti sono i punti di domanda.


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