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Pony: la paura di crescere raccontata da Rex Orange County

Scritto da il 8 Novembre 2019

Ah, il Regno Unito! Quella piccola grande realtà che  pullula di tradizioni intramontabili: il Tè, la Regina, i Taxi e, poi, la Musica.  Patria indiscussa dell’innovazione sonora:  dai Beatles, passando per i Queen alla Britpop, la scena britannica ha sempre prodotto una serie infinita di artisti e band  e  ancora oggi riesce a sfornare novità sorprendenti.  E nella “new wave” del cantautorato di questa immensa tradizione spicca tra i vari un nome: Alexander O’Connor aka Rex Orange  County ! Forse a molti non dirà nulla  ma il mio augurio è che dopo questo articolo vi venga voglia di ascoltare cosa è in grado di fare questo ragazzo classe ’98!

Come anticipato sopra, la sua fama in Italia è ancora a livelli bassi, ma Oltremanica le sonorità di Alexander sono ben apprezzate dal 2016, anno del suo album d’esordio Bcos U Will Never B Free e il suo  successore Apricot Princess. Tra riminiscenze di Stevie Wonder,  vibrazioni alla Mac DeMarco e l’eco di malinconici sintetizzatori, il suo nuovo album “Pony” (uscito il 25 Ottobre) si propone come il triste grido nel  vuoto di un giovane ventunenne. E il vuoto a cui mi riferisco è quel senso di vertigine che viene dal cambiamento e dalla consapevolezza delle proprie turbe in fase di maturazione.

Ciò che più emerge dall’ascolto dei 10 brani del nuovo progetto di Rex Orange County è, a mio avviso, proprio  la difficoltà di relazionarsi con il  grande successo che sta raggiungendo la sua arte: Pony ha, infatti, conquistato  il podio delle classifiche in Inghilterra fin dal suo esordio e, con prepotenza, sta rapidamente circolando nel mercato Americano e da pochissimo anche nel nostro!

Il romantico contrasto tra fare numeri da capogiro a poco più di diciott’anni (parliamo di tre brani ognuno da 150 000 000 di riproduzioni) e il non sentirsi adeguati ad affrontare questa vorticosa ascesa è  pienamente rappresentato dalle venature “infantili” delle instrumental delle canzoni. In brani che gridano alla nuova e più dura responsabilità nel vivere, irrompono suoni molto soavi e dolci,  come cinguettii e brusii. Per non parlare dell’alternanza tra ritmi soul e atmosfere da favola, gremite di accordi di piano così piacevoli e travolgenti da far entrare in uno stato emozionale in cui ci si fonde  con la musica!

Se dovessi scegliere  un brano rappresentativo, direi che è  assolutamente Pluto Projector. Musicalmente il brano apre con una semplice successione di note su un cantato lieve, nasale -tipico di Alexander- ma molto piacevole. Dopo inizia la sua evoluzione strumentale: cori onirici si aprono in levare per  lasciare spazio ad una festa di emozioni, che può esser goduta grazie al magnifico climax della canzone, in cui pianoforte, voce e violini diventano un unicum: che splendore! Come già detto, i brani sono un irresistibile contrasto di melodie dolci e testi molto tristi, che riflettono l’impossibilità di non trovare ancora veramente sé stessi. Le parole di questa composizione sono rivolte a una persona fidata, che l’autore vede come un’ancora, nella speranza che prima di lui possa capire chi  realmente è:

“Non penso io sia fatto per capirmi.
Forse tu puoi.
Forse in tempo,
forse un giorno,
lo farò anch’io”

E credo non ci siano parole migliori per raccontare l’essenza poetica di un disco che, a mio parere,  (complice anche i toni radiofonici di alcuni brani, che risultano nonostante ciò mai banali) può lasciare un bel segno nel panorama musicale di molti paesi!
Poi non dite che non ve l’avevo detto!


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